sabato 28 giugno 2014

Capitolo Primo: ME



Sdraiata al buoni, non vedevo nulla, ma sentivo tutto, sentivo il mio cuore battere, il battito che accelerava ad ogni pensiero e le lacrime che solcavano il mio viso ad ogni cambio di pensiero. Lacrime che scivolavano come fiumi e il respiro che mancava. Era una di quelle situazioni in cui ti sdrai su un fianco, stringi il cuscino affondandoci le unghie dentro. Stavo male, male ma non sapevo di cosa.

Il male più pericoloso è quello che non vedi ma senti, nessuno lo vede, non è la febbre, non è il raffreddore, ma ti senti dannatamente marchiata, ti senti una lama dentro che ti accoltella ad ogni parola o passo. Gli sguardi della gente che ti fissa mentre scarabocchi senza senso, quasi di pietà, la gente che ti sorride chiedendoti che cosa hai e le uniche parole che dici sono “non lo so”.

Non lo sapevo cosa avevo, sapevo che tutto mi faceva male,. Il divertimento degli altri, le cose belle e quelle brutte, gli impegni e le scadenze. Io…rinchiusa nella mia scatola di archetipi in cui la mia immagine era un prestampato a cui dovevo attenermi. Peccato che questo cartamodello, quell’etichetta non me lo aveva dato nessuno, ero stata io.

“non è da me”io non sono così, non mi innervosisco mai” Si era la mia tendenza ma tenevo tutto dentro, così dentro da esplodere. Sentivo ogni sera i pensieri pulsarmi nella mente tanto da non riuscire a riposare. Piangere di notte con un dolore al petto. Ansia…ansia per ciò che potrebbe accadere come se tutto avvenisse al di la della mia volontà, come se la mia vita scorresse senza che io ne facessi parte.
Si avevo un male dentro, un vortice che tirava al centro di me tutte le angosce e le paure che avevo sempre avuto, Poi una delusione, anche la minima e io mi ritrovavo lì a terra e vedermi solo come una fallita. Piangevo ogni sera, soffocavo le grida in un cuscino. Ansia ogni notte non riuscire quasi a respirare. Dover correre in bagno e imporsi di controllare il respiro mentre mi sciacquo il viso. Questo è quello che accadeva anni fa. Almeno fino ai miei 19 anni.

Si, fino a 19, prima sentivo queste cose ma non ho mai detto “sto male” per me era normale, era giustificato che mi sentissi così era la quotidianità, non capivo perché agli altri non accadesse ma ero così presa dal mio dolore che non vedevo nulla, non ci riflettevo su. Il vero cambiamento è avvenuto a 19 anni. Quando non so come, non so quando mi sono detta….IO STO MALE, NON CE LA FACCIO PIU’

Ero senza forze, sfinita dal mio malessere profondo, mia sorella che mi credeva depressa, i miei amici che mi rinfacciavano la mia incostanza e la mia assenza, io mi sentivo sempre più colpevole e i miei genitori lì…a dire a mia sorella di farmi distrarre in qualche modo, a cercare qualcosa che potesse destarmi…ma nulla. Ero crollata nel torpore, mi sentivo come persa in un oblio, nelle acque di palude, lì cullata da quella corrente che i trasportava insieme ai miei dolori. E non stavo bene era un trasporto quasi immobile, stagnante per certi versi.


Ma dopo quelle parole, dopo aver ammesso che stavo male avevo fatto il primo passo, avevo ammesso che c’era qualcosa che non andava, adesso ero pronta per reagire.
 

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